Si chiude una fase della nostra vita per sperare di tornare il prima possibile a vivere come prima del marzo 2020, liberi da maschere, col piacere di abbracciarci quando ci rivedevamo dopo tempo e senza paura di prendere batteri o virus dall’altro.
Questa chiusura psicologica, oltre che fisica, ha segnato il nostro cervello, oltre che il nostro corpo, ci ha portato ad atteggiamenti e comportamenti di difesa, a vivere diversamente i nostri ambienti e i nostri contesti.
La cultura ne ha risentito decisamente, soprattutto quella condivisa, quella che ci portava a godere di un live, di una performance teatrale, di una mostra. Anche i musei sono stati meno visitati, perché tutto ci ha fatto paura o per lo meno ci ha creato un ostacolo che per alcuni ha significato desistere dalla fruizione di arte e cultura come prima della pandemia.
Il lockdown ci ha chiuso mentalmente, oltre che fisicamente e adesso abbiamo tutti il diritto di riscattarci dalle limitazioni, godendo in pieno di quel senso di condividere arte e cultura che ci faceva crescere, nel confronto e nell’incontro.
Abbiamo in mente le immagini e i suoni dei balconi, della musica che usciva dalle case per arrivare in qualche modo ai vicini, per ovviare a quella distanza che doveva esserci nelle prime settimane di lockdown, perché immediatamente la musica si è appropriata di un ruolo di vicinanza in quei giorni, tra inni nazionali, brani popolari da cantare in coro per confortare il morale dalla paura dell’ignoto che tutti abbiamo vissuto.
Ci siamo ricordati in quei momenti di quanto ci piacesse esser parte di una forma di arte e cultura condivisa, di quanto appartenessimo a qualcosa di più grande che quella musica rappresentava per tutti noi e non importa se a renderci consapevoli di questo fosse l’inno degli italiani o un brano dei Ricchi e poveri: n quei momenti tutto andava bene per consolarci dell’isolamento cui eravamo costretti.
E ora che l’emergenza è terminata e che la cultura e l’arte sono state nostre coinquiline di casa per due anni nelle modalità con cui sono state fruibili, ecco che arriva una nuova emergenza, quella della cultura, che deve riprendere il suo spazio, consapevoli magari, di quanto sia stata importante in questa lunga assenza dalla vita cui eravamo abituati.
Abbiamo capito quanto la cultura ci fa bene, quanto ne avevamo bisogno e quanto ci sia mancata una serata a teatro, come un live di piazza di un gruppo sconosciuto: tutto ha il suo senso, perché è parte dei nostri ritmi di vita, ci aiuta a scoprire meglio chi siamo e quanto benessere possiamo trarre dal fruirne le tantissime sfaccettature, soprattutto quando possiamo condividerla e farne fonte di confronto e crescita. La cultura ci migliora e ci permette di staccare, di avere un momento la mente altrove, offrendoci spesso intuizioni e momenti di illuminazione. La cultura ci emoziona, ci rende parte di qualcosa, ci attraversa dentro e ci nutre, rendendoci più ricchi.
Maria Luisa Lafiandra