Realizzare un documentario su un artista poliedrico e visionario come Alzek Misheff non è sicuramente facile. Per questo mi sono approcciato alla visione di Volare con le pinne in maniera molto cauta. Eppure mi sono dovuto ricredere dopo pochi minuti, e al termine della proiezione non ho potuto fare a meno di applaudire ciò a cui avevo appena assistito.
La regista Maria Averina ha dimostrato di non essere solo capace da un punto di vista tecnico, ma anche di saper tradurre le emozioni in immagini. Questo documentario è un complesso mosaico che ha come scopo quello di rivelare al pubblico la vera anima di Misheff, attraverso un viaggio cinematografico nel suo unico e inimitabile mondo creativo. C’è un particolare dualismo tra uomo e artista che emerge in Volare con le pinne, che rafforza l’aspetto più poetico e intimo di tutta la narrazione. La sensibilità di Averina è il vero punto di forza di questo lavoro: senza questa caratteristica difficilmente sarebbe stato possibile portare sul grande schermo un documentario così completo, pronto a catturare ogni singola sfumatura.
Proprio questa delicatezza, questa sensibilità, sono essenziali nel dare il giusto tono a quest’opera. La narrazione prende lo spettatore per mano, quasi come se ci fosse una sorta di dialogo che unisce il film con chi lo sta guardando. C’è davvero tutto: dalle inquadrature volte a mostrare l’arte di Misheff alle sequenze che hanno al centro il peso delle memorie, come quando l’artista fa il suo ritorno in Bulgaria.
Ho trovato molto interessante come Averina sia andata oltre al semplice racconto delle storia di Misheff, ma abbia scelto una prospettiva differente, dove la biografia di qualcun altro viene vissuta in maniera molto personale, con una reale immersione che mescola ricordi, sentimenti e voci. Non è un documentario “asettico”, ma è una vera esperienza emotiva, che aiuta a riflettere sull’importanza delle proprie radici e sul concetto di appartenenza.
Tra i pregi della regia di Averina c’è anche la capacità di fare a volte un passo indietro, lasciando che a raccontare l’arte sia l’arte stessa, e proprio tramite essa dare forma all’uomo dietro all’artista. Le immagini delle performance di Misheff si uniscono a elementi contemporanei: passato e presente diventano due elementi che dialogano e collaborano in maniera sinergica. Ed è bello come le immagini siano esaltate da una colonna sonora di rara intensità, composta da Petar Dundakov e con alcune tracce realizzate proprio da Misheff.
Per quanto riguarda il materiale possiamo dividere le fonti in tre diverse tipologie. La prima categoria è il materiale d’archivio, che aiuta a ricostruire il passato da una prospettiva più storica. La seconda è la testimonianza diretta di Misheff. La terza categoria racchiude le parole di terze persone che sono state presenti o partecipi alla vita di Misheff, e che per questo possono offrire un punto di vista inedito. Ciò ad esempio è accaduto con Svetlozar Igov e Mikhail Nedelchev.
Forse ho recensito Volare con le pinne con uno spirito troppo soggettivo, ma non potevo fare altrimenti. Volare con le pinne è ciò che un documentario dovrebbe essere: un racconto che non osserva solamente dall’esterno, ma che entra nelle vicende per leggere i reali significati dietro a ciò che si sta raccontando.
Maria Luisa Lafiandra